mercoledì 6 marzo 2013

Quella Napoli europea che dobbiamo ricostruire


La Città della scienza aveva interpretato nel modo migliore il tema della riconversione produttiva e la rivitalizzazione sociale delle grandi aree dismesse
 
La Città della scienza di Napoli se ne va in fumo portando via con sé una delle cose migliori realizzate in questa tormentata città.
Nei prossimi giorni sapremo se si è trattato di un atto doloso, più esplicitamente di un attentato camorristico, che appare come la cosa più probabile anche se solo per via intuitiva.
Ma ciò che oggi abbiamo comunque di fronte è la distruzione di un progetto carico di valenze simboliche.
Un progetto che aveva interpretato nel modo migliore il tema della riconversione produttiva e della rigenerazione urbana. Gli ingredienti erano presenti tutti e al massimo livello: un relitto industriale di dimensioni gigantesche come l’Italsider; un’intera area, Bagnoli, ridotta in uno stato di altissimo inquinamento e degrado; un tessuto sociale sconvolto, una prima volta dall’avvento della produzione industriale e una seconda dalla sua fine.
A fronte di una simile condizione, il progetto promosso dal fisico Vittorio Silvestrini si era mosso sulla scia di una idea forte e pienamente calata in una tematica che ha riguardato negli ultimi cinquanta anni molte grandi città europee, quello della riconversione delle aree produttive dismesse, tema tipico della società post-industriale e post-moderna. In molti casi la soluzione è stata quella di lasciare spazio alla speculazione immobiliare, che ha realizzato i soliti, orrendi complessi residenziali-commerciali-direzionali.
In altri l’intelligenza di amministratori e imprenditori, accompagnata dalla bravura di architetti e urbanisti, ha dato vita a straordinarie soluzioni basate sull’intuizione di sostituire la capacità di produrre e creare occupazione dell’industria, con la medesima capacità espressa dal mondo della scienza e della cultura. Basta pensare alla riconversione del bacino carbonifero della Ruhr in parco multifunzionale; alla straordinaria esperienza del lungo fiume di Bilbao, legata al museo capolavoro di Ghery; alla riconversione dell’area industriale di Manchester, con un campus universitario, sale concerti e musei; al Parc de La Villette nella zona nord di Parigi, che ha sostituito il vecchio mattatoio con la Citè des sciences et industries.
La Città della scienza di Bagnoli era un esempio, sia pure a scala ridotta, di questo modo di intendere la riconversione produttiva e la rivitalizzazione sociale delle grandi aree dismesse. Considerata a buon diritto nel novero dei grandi e innovativi musei interattivi d’Europa, offriva agli oltre 350.000 visitatori annui strutture didattiche per accostare giovani studenti alle pratiche scientifiche, un grande centro congressi e una serie di incubatori d’impresa atti a creare i presupposti per nuove produzioni ed occupazione.
Insomma è stata il punto di forza su cui poggiare un complessivo progetto di riconversione e rigenerazione urbana dell’intera area di Bagnoli.
Oggi siamo costretti a piangerne la perdita che, come ha detto il sindaco De Magistris, è dolorosa come un lutto. Ma già da domani dovremo superare lo sgomento e avviarne la ricostruzione, perché la strada che aveva tracciato era quella giusta e Napoli non può che riprenderla.

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